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martedì 12 giugno 2018

LA DEVOZIONE AL CUORE DI GESU' E' LA DEVOZIONE FONDAMENTALE DEL CRISTIANO


Dalla Lettera di S.S. Benedetto XVI al Preposito Generale della Compagnia di Gesù in occasione del 50° anniversario dell’enciclica Haurietis aquas (15 maggio 2006)
 
Le parole del profeta Isaia - “Attingerete acqua con gioia alle sorgenti della salvezza” (Is 12, 3) - che aprono l’Enciclica con cui Pio XII ricordava il primo centenario dell’estensione all’intera Chiesa della Festa del Sacro Cuore di Gesù - oggi, 50 anni dopo, non hanno perso nulla del loro significato. Nel promuovere il culto al Cuore di Gesù, l’Enciclica Haurietis aquas esortava i credenti ad aprirsi al mistero di Dio e del suo amore, lasciandosi da esso trasformare. A cinquant’anni di distanza resta compito sempre attuale dei cristiani continuare ad approfondire la loro relazione con il Cuore di Gesù in modo da ravvivare in se stessi la fede nell’amore salvifico di Dio, accogliendolo sempre meglio nella propria vita.
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Nell’Enciclica Deus caritas est ho citato l’affermazione della prima Lettera di san Giovanni: “Noi abbiamo riconosciuto l’amore che Dio ha per noi e vi abbiamo creduto”, per sottolineare che all’origine dell’essere cristiani c’è l’incontro con una Persona (cfr. n. 1). Poiché Dio si è manifestato nella maniera più profonda attraverso l’incarnazione del suo Figlio, rendendosi “visibile” in Lui, è nella relazione con Cristo che possiamo riconoscere chi è veramente Dio (cfr. Enc. Haurietis aquas, 29-41; Enc. Deus caritas est, 12-15). Ed ancora: poiché l’amore di Dio ha trovato la sua espressione più profonda nel dono che Cristo ha fatto della sua vita per noi sulla Croce, è soprattutto guardando alla sua sofferenza e alla sua morte che possiamo riconoscere in maniera sempre più chiara l’amore senza limiti che Dio ha per noi: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia ma abbia la vita eterna” (Gv 3, 16).
 
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Questo mistero dell’amore di Dio per noi, peraltro, non costituisce soltanto il contenuto del culto e della devozione al Cuore di Gesù: esso è, allo stesso modo, il contenuto di ogni vera spiritualità e devozione cristiana. È quindi importante sottolineare che il fondamento di questa devozione è antico come il cristianesimo stesso. Infatti, essere cristiano è possibile soltanto con lo sguardo rivolto alla Croce del nostro Redentore, “a Colui che hanno trafitto” (Gv 19, 37; cfr Zc 12, 10). A ragione l’Enciclica Haurietis aquas ricorda che la ferita del costato e quelle lasciate dai chiodi sono state per innumerevoli anime i segni di un amore che ha informato sempre più incisivamente la loro vita (cfr. n. 52). Riconoscere l’amore di Dio nel Crocifisso è diventata per esse un’esperienza interiore che ha fatto loro confessare, insieme a Tommaso: “Mio Signore e mio Dio!” (Gv 20, 28), permettendo loro di raggiungere una fede più profonda nell’accoglienza senza riserva dell’amore di Dio (cfr. Enc. Haurietis aquas, 49).
(...)

 
Lo sguardo al “costato trafitto dalla lancia”, nel quale rifulge la sconfinata volontà di salvezza da parte di Dio, non può quindi essere considerato come una forma passeggera di culto o di devozione: l’adorazione dell’amore di Dio, che ha trovato nel simbolo del “cuore trafitto” la sua espressione storico-devozionale, rimane imprescindibile per un rapporto vivo con Dio (cfr. Enc. Haurietis aquas, 62).


NOTA: L'Enciclica Haurietis aquas è stata scritta da Pio XII il 15 maggio 1956

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