Una festa per il Padre di P. Raniero Cantalamessa:
«E’ una tristezza che non esista, in tutto l’anno liturgico, una festa del Padre, che non esista, in tutto il Messale, neppure una messa votiva in suo onore. E’ cosa, a penarci bene, molto strana; esistono innumerevoli feste di Gesù Figlio; esiste una festa dello Spirito Santo; esistono tante feste della Madre... Non esiste una sola festa del Padre, “fonte e origine di tutta la divinità”. Verrebbe quasi da dire che è il Padre, ora, “il divino sconosciuto”, non più lo Spirito Santo.
Esiste, è vero, una festa della SS.Trinità, che, però, è la festa di un mistero, o di un dogma, non di una persona e, comunque, non di una sola persona divina. Del resto, il fatto che esista una festa della santa Famiglia non toglie che la Chiesa abbia sentito il bisogno di celebrare, anche singolarmente, le tre persone della santa Famiglia. Non potrebbe essere questo il tempo di colmare tale lacuna?»
http://www.armatabianca.org/store/festa_del_padre/3Cantalam.pdfLa devozione al Padre, la sua opportunità e il valore dottrinale di Mons. Guery (1935):
E’ quella che ci ha insegnato il Salvatore divino, nell’unica preghiera che ha composta per noi.
Noi sappiamo dal Vangelo che Egli, ai suoi Apostoli, parlava sempre del Padre suo. Ma per quanti cristiani il Padre è, oggi, una persona viva? Essi provano, quasi sempre, verso di lui un sentimento solo: quello del timore. Non osano avvicinarsi a lui.
Tra gli attributi di Dio si riconosce volentieri quello della paternità. Ma. per molti, essa non è che una specie di metafora o un’astrazione. Ora, il culto, non si rivolge a un attributo astratto: sale verso una persona. Infatti tutta la liturgia della Messa ci invita a elevare le nostre anime al Padre, a offrirci a lui, con il Figlio suo diletto, a pregare “per nostro Signore Gesù Cristo che vive e regna con lui, nell’unità dello Spirito Santo”.
“Ogni preghiera cattolica, dice un eminente liturgista, è offerta al Padre per mezzo del Figlio, nello Spirito Santo”. Siamo dunque ben sicuri che questa devozione non ci trascina a innovazioni sospette; appare nuova al nostro tempo solo perché esso l’ha dimenticata.
Tutti coloro - predicatori o direttori spirituali - che l’hanno diffusa, hanno rilevato con gioia gli effetti profondi di purificazione e di santificazione che produce nelle anime. Sembra veramente che una grazia speciale vi sia annessa. Perché?
Anzitutto, forse, perchè diffondere questa divozione è continuare la missione stessa del Salvatore. Prima di Gesù, Dio era conosciuto, ma non come Padre».
La missione essenziale del Cristo fu di rivelare al mondo che Dio era il Padre Suo, e anche il nostro.Insegnando agli uomini che più non sanno questo prodigioso mistero dell’Amore infinito noi continuiamo dunque, quella che Gesù ha chiamato la «sua opera»2. E’ la sua opera che Egli benedice.
Inoltre, non possiamo noi cercar d’intravvedere le ragioni provvidenziali, per le quali la nostra epoca sembra pronta a meglio comprendere il messaggio divino del Cristo, concernente il Padre suo? (...)
(...)
Gesù non ha insegnato ai suoi uditori in un sol tratto, l’esistenza di un Dio unico in tre Persone. Egli ha rivelato progressivamente queste alte verità ai suoi Apostoli e ai suoi discepoli. Ci sembra di poter, in qualche modo, distinguere tre tappe nell’insegnamento del Salvatore sulla rivelazione del Padre.
PRIMA TAPPA: sin dall’inizio del suo ministero apostolico, nostro Signore insegna agli uomini che Dio è Padre.
E’ tutto il discorso della montagna9
Se Egli esorta i suoi discepoli a compiere le opere buone, è perché il mondo, vedendole,
glorifichi il Padre che sta nei Cieli10.
Se dichiara necessarie le disposizioni interiori e condanna l’ipocrisia che s’insinua perfino negli atti i più santi - l’elemosina, la preghiera, il digiuno - è perché non si inganna il
Padre che è nel segreto. e perché il Padre, che tutto vede, ricompenserà le rette intenzioni11.
Se insegna ai suoi Apostoli a pregare, è per far loro dire: «Padre nostro che sei nei
Cieli»12, e per mostrar loro che il Padre che è nei Cieli si lascerà commuovere da coloro che lo pregano13
Se insegna la perfezione, è per dar loro come modello la perfezione del Padre14, e per farla consistere nell’adempimento della volontà del Padre15.
Nostro Signore fa poi conoscere gli attributi di questo Padre: Egli mostra la sua Provvidenza a cui sono noti tutti i bisogni delle sue creature, e che veglia perfino sugli uccelli e sui gigli del campo16.
Una simile dottrina costituiva già una vera rivoluzione. I Giudei avevano potuto trarre dai Libri Santi una certa nozione della divina paternità, ma solo giuridica e nazionale, che si esercitava esclusivamente a favore del popolo eletto. Ma non avrebbero mai osato di concepire un Dio paternamente buono e misericordioso, nonostante i Profeti e i Salmi avessero talvolta cantato in termini commoventi la divina misericordia. Tremavano davanti a Jahvé. Ed ecco che Gesù, come risulta dal Vangelo, già dal suo primo discorso, pronuncia diciassette volte il nome del Padre.
E il Vangelo aggiunge: «Quando Gesù ebbe finito il suo discorso, il popolo era ammirato della sua dottrina». Quanto predica alle folle, fin dal principio del suo ministero pubblico, Gesù lo insegna
anche in particolare a qualche anima, per esempio alla Samaritana17
: lo stesso insegnamento sulle disposizioni interiori, poiché quello che conta è «l’adorazione in ispirito e verità»; lo stesso insegnamento sulla carità verso i nemici - al punto che la Samaritana si stupisce che egli, giudeo, parli a una straniera; la stessa rivelazione del Padre. La novità di questa dottrina consisteva, dunque, nel fatto che Gesù mostrava, in Dio, un Padre, e non più il Giudice severo, o il legislatore terribile.
Ma non si tratta ancora delle relazioni di figliolanza con Dio, dei rapporti d’intimità filiale con lui. Dio è buono, paternamente buono con le sue creature; è soprattutto la sua Provvidenza paterna che Gesù mette in luce. Egli dice già: «Padre vostro», ma la parola poteva essere ed era certamente intesa in senso metaforico, come di un sovrano che si dedicasse ai suoi sudditi, si direbbe: E’ un padre.
SECONDA TAPPA: Gesù Cristo insegna agli uomini che Dio è suo Padre.
Impiega tre anni per provare che Egli è il Figlio di Dio, eguale al Padre suo, e, anche qui,non manifesta che progressivamente la sua divinità. Si serve di segni visibili, i miracoli, per attestare la sua potenza divina e per mostrare che Egli è veramente l’inviato del Padre18. Poiché è il Padre che gli ha dato potere di compiere le opere sue, o meglio ancora, è il Padre che le compie in lui19.
All’inizio dell’ultimo anno del suo ministero pubblico, Egli conferma solennemente la professione d fede con la quale, a Cesarea, Pietro, in nome di tutti gli Apostoli, riconobbe
nel loro Maestro «il Figlio del Dio vivente»20. Alla vigilia della sua morte, afferma con forza davanti ai suoi giudici che Egli è il Figlio di Dio21.
Nostro Signore rivela il Padre suo anche con l’atteggiamento della sua umanità verso di lui. Egli non vive che per suo Padre. Non è venuto che per fare la volontà del Padre. Ogni gloria deve essere resa al Padre. Ridona al Padre tutto ciò che Egli è, e tutto ciò che Egli, come uomo, possiede. Solo l’esempio del loro Maestro poteva dare agli Apostoli l’idea più alta della sovrana Maestà del Padre e del suo Amore infinito. Con quale stupore non avranno essi ascoltato le parole di nostro Signore sulle ineffabili reciproche relazioni di conoscenza e di amore col Padre suo22 e sull’unità di azione e di vita che esiste tra loro!23
Che cosa comprendono quelli che ascoltano il Maestro se non che sono due a possedere la stessa vita divina, ma che l’uno è Padre, l’altro Figlio? Cominciano a intravvedere le reciproche relazioni delle Persone divine, attraverso alle relazioni tra il Padre e quest’uomo che essi amano ed è Figlio di Dio.
Ma ancora non hanno compreso, ancora non sanno che avranno, essi pure, dei rapporti d’intimità con queste Persone divine. Anzi, la persona di Gesù, non appare ora infinitamente lontana dalla loro povera umanità? Se Egli è Dio, uguale al Padre, non vi è un abisso insuperabile tra essi deboli uomini, e lui? Mentre, per un momento, avevano potuto sperare che Gesù fosse venuto a colmare l’abisso...
Ma Gesù li rassicura. Oh prodigio inaudito! Egli fa loro intendere con una commovente parabola - quella della vite e dei tralci - quale intima unione vi sia fra le anime e lui.
Gesù è la vera vite. Essi sono i tralci. Essi sono in Gesù. Una stessa linfa vitale passa tra essi e lui. Sino a che resteranno uniti a lui produrranno frutti per la gloria del vignaiuolo. E, il vignaiuolo, è il Padre24.
Pare che la rivelazione sia ora completa. Ma no! Il divino Maestro annuncia qualche cosa di ancor più grande, ed è Egli stesso che fa risaltare la nuova tappa: «Vi ho detto queste cose in parabole, ma è giunta l’ora in cui non vi parlerò più così, ma vi parlerò apertamente del Padre»25.
Apertamente? In qual senso? Tutto è detto in una parola: «Il Padre, il Padre stesso, vi ama, ama voi»26.
TERZA TAPPA: nostro Signore insegna agli uomini che Dio, il Padre suo, è anche il Padre loro
Ecco ora le confidenze supreme, i segreti riservati alle ore decisive. L’anima del Maestro si dà tutta a quella dei suoi Apostoli. Egli alza gli occhi al Cielo e prega, davanti a loro, il Padre suo27.
Lo odono dire che essi sono del Padre, e che il Padre li ha dati a lui perché riveli loro il suo Nome di Padre. Quel Padre così grande, la cui Maestà sovrana immergeva nella più profonda adorazione il loro Maestro, nella sua silenziosa preghiera sul monte, diveniva il loro Padre, pieno d’immenso amore. Gesù osava chiedergli di estendere ad essi l’amore con cui Egli, il Padre, l’aveva amato: «Affinché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi»28... «amasti essi come amasti me».
Chiedeva pure che fossero con lui, là, dove Egli andava, nel seno del Padre. Rivelava, insomma, agli uomini che la gloria della filiazione, che Egli ha per natura, l’aveva loro meritata e data affinché fossero tutti uno, come Egli e il Padre sono uno. Così il Padre di Gesù diveniva il loro Padre. Egli è divenuto il nostro. E quando, dopo la Risurrezione, Gesù è apparso alla Maddalena, ha saputo dirle: «Va’ dai miei fratelli e dì loro che salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro»29.
Ora, il diritto di Dio esige il dovere correlativo. I cristiani, divenuti, per il Battesimo, figli di Dio, hanno dunque il dovere assoluto di rendergli il culto dovuto come Padre e di far penetrare nella loro virtù di religione, lo spirito filiale che lo Spirito Santo effonde in essi.
I rapporti dell’uomo con Dio si spiritualizzano così, sempre più; la preghiera diventa veramente lo slancio dell’anima che ama, non è più un dovere penoso imposto da una legge esteriore, ma un bisogno del cuore. L’anima unisce, per un istinto soprannaturale, le effusioni spontanee della sua filiale tenerezza, al rispetto profondo che la fa piegare davanti al Padre «d’immensa Maestà»35.
***
Il Padre Faber diceva, infatti, che la caratteristica essenziale della devozione al Padre è: «un’immensa tenerezza». Aggiungiamo che essa eleva le anime col dare alla loro vita il più nobile degli ideali,
quello che riempie tutta la vita di Gesù: la gloria del Padre, che le libera, purificandole da quell’egoismo che sa infiltrarsi fino nella pietà più sincera, le fonda nella pace, stabilendole nella certezza dell’Amore infinito del Padre, pieno di misericordia e di bontà.
(...) Noi affidiamo, in questo giorno, alla Santissima Vergine Madre nostra Immacolata, il nostro desiderio di aiutare molte anime di sacerdoti, di religiosi, di laici, a diventare gli apostoli ardenti di questa devozione, affinché, seguendo l’esempio di Gesù, lavorino per far conoscere, amare e servire il Padre ammirabile che Egli ci ha rivelato.
(...) Noi affidiamo, in questo giorno, alla Santissima Vergine Madre nostra Immacolata, il nostro desiderio di aiutare molte anime di sacerdoti, di religiosi, di laici, a diventare gli apostoli ardenti di questa devozione, affinché, seguendo l’esempio di Gesù, lavorino per far conoscere, amare e servire il Padre ammirabile che Egli ci ha rivelato.
8 Dicembre 1935
9 Mt V, VI, VII.
10 Mt V,16
11 Mt VI,2-18.
12 Mt VI,9.
13 Mt VII,11.
14 Mt V,48.
15 Mt VII,21.
16 Mt VI,23-24
17 Gv IV
18 Gv V,36.
19 Gv X,32-38
20 Mt XVI, 16.
21 Mt XXVI, 63-66.
22 Mt XI, 27; Gv III,26; V,20.
23 Gv V, 19-23; X,29; XIV.
24 Gv XV.
25 Gv XVI,25.
26 Gv XVI, 27 ´Ipse enim Pater amat vosª.
27 Gv XVII.28 Gv XVII, 26.
29 Gv XX,17.
34 Pio Xl: «Questa è l’enorme sventura di quelle tante vite che si svolgono senza sapere cos’è pietà cristiana... La pietà cristiana non è un insieme di vane pratiche, o vaghezza di sentimento, ma è una cosa molto solida, sostanziale, e, nello stesso tempo, molto semplice e molto facile a capirsi e praticarsi. Non si tratta che di elevarci a Dio: è ciò che si dice «pietà filiale» o, se - volete dirlo con una parola - la filialità verso Dio, concepito, amato e servito come Padre.
Proprio come Egli ha voluto, e come Gesù Cristo, il Redentore divino, ha insegnato: Pater noster! Come interpreta l’Apostolo quando dice che il più grande dono che il Redentore ci ha fatto, è stato quello di metterci nel cuore, a prezzo (e quale valore aveva questo prezzo!) del suo Sangue, quello Spirito che è proprio il riverbero e l’emanazione viva dello Spirito stesso di Dio, per il quale noi, dal profondo del cuore, diciamo: Abba Pater». (Alla Gioventù Cattolica italiana, 4 dicembre 1927).
35 Parole del Te Deum.
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